Parole chiave: Recessione, Inflazione, FED, BCE, Crescita, Geopolitica, Atterraggio Morbido, Diversificazione.
Nel mese di maggio le borse internazionali sono rimaste abbastanza solide, scongiurando definitivamente la recessione mondiale per quest’anno. Il consenso sugli utili è sostenuto da una stagione di pubblicazione dei risultati piuttosto rassicurante. Il volume dell’attività nei settori ciclici sembra aver toccato il minimo durante l'inverno. La pausa registrata nel processo di disinflazione non mette in discussione lo scenario di base. La politica della Federal Reserve (Fed) continua ad essere legata ai dati, mentre la Banca centrale europea (BCE) si prepara a tagliare i tassi di riferimento. Le tematiche politiche potrebbero tuttavia tornare in primo piano fra i timori degli investitori.
Le statistiche macroeconomiche pubblicate nelle ultime settimane non hanno fornito nuovi elementi all'analisi della situazione. La crescita globale è leggermente migliore del previsto, grazie soprattutto agli Stati Uniti e, in misura minore, alla Cina. La revisione al ribasso delle previsioni consensuali è terminata nell’eurozona, dove si registra addirittura una leggera ripresa degli indicatori previsionali per i servizi. Il 2024 non sarà pertanto sinonimo di recessione globale, anzi, lo scenario più probabile rimane l’atterraggio morbido. Gli Stati Uniti d’America stanno mostrando alcuni segnali di debolezza molto relativi e piuttosto logici: le eccedenze di risparmio accumulate durante la pandemia sono ormai esaurite; i consumi (2/3 del PIL) sono comunque trainati dalla crescita del reddito disponibile delle famiglie, che rimane tendenzialmente positivo. Nonostante un leggero calo del mercato del lavoro, i fondamentali dell'economia statunitense rimangono alquanto solidi.
Sul fronte dell'inflazione, la pausa registrata nelle ultime settimane non mette assolutamente in discussione la tendenza generale alla disinflazione. Come indicato nella nostra precedente lettera mensile, è logico che le serie statistiche mostrino una certa volatilità. È più facile, in prima battuta, passare da un tasso di inflazione annuo del 10% al 3% che, in seguito, dal 3% al 2%, obiettivo di Fed e BCE. Non intravediamo tuttavia importanti tensioni sui prezzi dell'energia e delle materie prime, né sui mercati del lavoro (prosegue la moderazione salariale). È interessante notare che la debolezza della domanda interna in Cina sta alimentando le pressioni deflazionistiche nel resto del mondo: la capacità produttiva cinese è alla disperata ricerca di sbocchi per le esportazioni e il dilagare dei suoi veicoli elettrici è sintomatico di un modello di crescita che rimane soprattutto mercantilista. Se nel 2024 la Fed non ha motivi oggettivi per accelerare l’allentamento della politica monetaria, la BCE è pronta ad attuare una politica divergente, tagliando i principali tassi di riferimento prima dell’omologa statunitense. Sottolineiamo che i tassi di interesse reali a lungo termine (2,1% negli Stati Uniti e 0,8% nell'eurozona), basati sull’inflazione attesa, sono perfettamente compatibili con la crescita economica potenziale delle regioni interessate, indicando pertanto che i tassi di interesse a lungo termine riflettono condizioni finanziarie piuttosto neutre e non sono in alcun modo restrittivi.
Come spiegato in diverse occasioni, lo scenario di atterraggio morbido unito alla tendenza alla disinflazione è particolarmente positivo per le attività a rischio in generale e per le azioni in particolare, cresciute di oltre il 10% da inizio anno. La ripresa dei tassi di interesse reali impone tuttavia una pausa nella traiettoria ascendente degli indici azionari avviata all'inizio del novembre 2023. Il rendimento globale dei flussi di cassa liberi si è attestato al 3,8%, sotto la media storica del 4,5% degli ultimi dieci anni, in un contesto in cui i rendimenti obbligazionari offrono alternative interessanti agli investitori. Il premio per il rischio del mercato azionario statunitense (il cui rapporto prezzo/utili atteso per i prossimi dodici mesi è maggiore di 20, un livello superiore alla sua media decennale di 17,8) è particolarmente basso, compresso dall'elevata valutazione dei titoli tecnologici trascinati dall’entusiasmo verso l'intelligenza artificiale (IA) generativa. È finalmente arrivato il momento di incassare i profitti? Sebbene le elevate valutazioni di mercato non siano mai state un buon indicatore di un'inversione di tendenza degli indici, riteniamo utile valutare le possibili cause di un consolidamento nei prossimi mesi, prestando particolare attenzione alla geopolitica.
Nel 2024 non mancano affatto. Il forte deterioramento delle relazioni internazionali - illustrato dalla guerra in Ucraina, dall'escalation in Vicino Oriente e dalle tensioni nel Mar Cinese Meridionale - testimonia di un vero e proprio declino delle relazioni tra i popoli. I paesi si stanno dividendo in un blocco liberale e democratico, contrapposto a un gruppo eterogeneo di regimi autoritari con interessi spesso divergenti ma uniti dalla volontà di sfidare la supremazia dell'Occidente nella gestione delle questioni internazionali. Il concetto di Sud globale segnala la perdita di influenza delle democrazie liberali, in particolare in Africa, dove si dispiegano senza scrupoli le ambizioni delle democrature. Più in generale, gli equilibri regionali sono minacciati dal ritorno delle aspirazioni imperiali da parte di Russia, Cina, Turchia e Iran. Nel 2024 si terranno inoltre elezioni cruciali, con l’attenzione puntata sul possibile ritorno in carica di Donald Trump. La sua incredibile resilienza nasconde un fenomeno più preoccupante: l'irrimediabile indebolimento delle società democratiche, le cui modalità operative non sono più in grado di agglutinare il maggior numero di persone attorno a valori e progetti condivisi. Eppure le sfide non mancano: cambiamento climatico, crisi migratoria, guerra ai narcotrafficanti, politiche industriali sovraniste, reinvestimento in istruzione, sanità e difesa sono tutti aspetti che richiedono una maggiore “intelligenza collettiva”.
Un commento sulla posta in gioco nelle elezioni europee: se da un lato l'UE si caratterizza per l'assenza di una politica industriale degna di questo nome, rispetto alle politiche più efficaci portate avanti da Stati Uniti e Cina, dall'altro la resistenza delle sue popolazioni al federalismo (cfr. l'inesorabile ascesa della destra radicale), giustificata da anni di imperizia delle istituzioni di Bruxelles, favorisce gli egoismi nazionali (cfr. ad esempio la resistenza della Germania allo sviluppo della filiera nucleare francese nell'ambito della transizione ecologica) e rende ancora più remota la possibilità che l'UE persegua una politica da grande potenza. A dimostrazione dell'insopportabile inefficienza dell’“aggeggio” - per riprendere l'espressione di Charles de Gaulle a proposito dell'ONU - finora è stato speso solo un quarto dei fondi del piano di ripresa da 750 miliardi di euro concordato durante la pandemia, nonostante l'enorme necessità di investimenti in Europa e il suo ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina; al contrario sono stati impiegati con grande rapidità i fondi statunitensi previsti dall'IRA (“Inflation Reduction Act”), legge sulla riduzione dell’inflazione, firmata dal presidente Joe Biden nell'agosto 2022 per promuovere la reindustrializzazione facendo ricorso alle energie verdi e alle nuove tecnologie. L'Europa soffre così di una grave carenza di competenze tecniche e scientifiche, essenziali per rafforzare i settori industriali considerati strategici. Raccogliere fondi senza accennare alla mancanza di competenze nella popolazione attiva significa mettere il carro davanti ai buoi e perpetuare una potenziale crescita leggermente positiva, nettamente inferiore a quella dei nostri principali concorrenti. L'Italia, ad esempio, è in forte ritardo nell'attuazione del suo piano di rilancio ed è penalizzata dalla mancanza di risorse umane qualificate per realizzare i progetti più importanti.
Le conseguenze economiche e finanziarie del peggioramento delle relazioni internazionali e della vulnerabilità interna delle democrazie occidentali sono già chiaramente visibili. Le sanzioni contro la Russia stanno inducendo la Cina a ridurre prudentemente il peso dei titoli del Tesoro USA nelle sue riserve valutarie, preferendogli l’oro. L’ampliamento delle politiche protezionistiche, spesso giustificate con argomenti pretestuosi (lotta al riscaldamento globale, reazioni contro i sussidi cinesi), riduce sensibilmente l'efficienza dell'economia globale favorendo l'inflazione. Questo contesto ansiogeno sta rallentando il ciclo degli investimenti delle imprese e la propensione al consumo delle famiglie. Il denaro pubblico, scarso e più costoso rispetto al passato e idealmente destinato in via prioritaria a grandi obiettivi nazionali come l'istruzione, la salute e l'ambiente, viene polverizzato in futili progetti sovranisti. I combustibili fossili, soluzioni semplici in un mondo frammentato, continuano a essere consumati in abbondanza, mentre gli obiettivi più ambiziosi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra appaiono sempre più fuori portata.
In tali condizioni, i mercati finanziari tengono adeguatamente conto delle problematiche geopolitiche? Noi siamo lontani dal crederlo, eccezion fatta per i casi specifici come gli indici cinesi, penalizzati da un elevato premio per il rischio politico. Gli investitori dovrebbero quanto meno privilegiare strategie di allocazione del portafoglio il più possibile flessibili e diversificate, sia a livello geografico che settoriale. Si è tornati a dover calcolare i premi di rischio in un contesto di tassi di interesse reali positivi.
Dopo sette mesi di rialzi dei mercati azionari, è probabilmente arrivato il momento di adottare un atteggiamento più cauto prima dell'estate. Le attuali valutazioni degli indici lasciano poco spazio a spiacevoli sorprese. Pur in assenza di segnali di una crisi finanziaria di grande portata nei prossimi mesi o di un marcato deterioramento dei fondamentali macroeconomici e degli utili previsti, riteniamo necessario prendere in maggiore considerazione i rischi geopolitici nella nostra riflessione sulla strategia di allocazione degli attivi. Il nostro consiglio principale rimane ovviamente la diversificazione, per costruire portafogli in grado di resistere agli inevitabili picchi di volatilità. Consideriamo legittima la tattica di ridurre il peso dei segmenti di mercato con valutazioni più elevate, siano essi azionari che obbligazionari. Del resto, nelle ultime settimane abbiamo riscontrato nei mercati azionari come le piccole e medie capitalizzazioni e i settori più ciclici considerati di tipo “value” stiano performando meglio delle grandi capitalizzazioni e dei titoli tecnologici.
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