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Inflazione e stagione degli utili Dominique Marchese, 2024-05-02

Parole chiave: inflazione, banche centrali, Fed, tassi di riferimento, bolla, attività economica, risultati, stagioni.

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Il tema dominante di aprile rimane senza dubbio l’andamento dell’inflazione, per la capacità di condizionare le future politiche monetarie delle banche centrali. Le notizie dagli Stati Uniti sono piuttosto contrastanti: nel lungo percorso di disinflazione osservato dopo il picco del 2022, l’ultimo miglio per raggiungere l’obiettivo del 2% delle autorità monetarie sembra essere il più difficile. Se a gennaio i mercati si aspettavano dalla Federal Reserve (Fed) statunitense sei tagli dei tassi di riferimento nel 2024, ora le previsioni si limitano a uno o due tagli dello 0,25% ciascuno. Mentre i mercati obbligazionari sono logicamente favoriti da migliori aspettative riguardo ai tassi di riferimento (rialzo dei tassi nominali e reali in dollari), gli indici del mercato azionario mostrano una notevole resistenza, sostenuti da una prevista ripresa dell’attività economica mondiale e dal rassicurante inizio della stagione degli utili trimestrali.

SERIE STATISTICHE CHE NON METTONO IN DISCUSSIONE LE TENDENZE SOTTOSTANTI

Negli Stati Uniti la disinflazione sembra segnare il passo. A marzo gli indici maggiormente seguiti dalla banca centrale statunitense si sono attestati solo poco sopra il livello di consenso: l’indice dei prezzi delle spese per consumi personali PCE (Personal Consumption Expenditures) e il relativo sottostante, esclusi cibo ed energia, sono aumentati rispettivamente del 2,7% e del 2,8% su un anno, a fronte di una previsione consensuale degli economisti a poco meno dello 0,1% in entrambi i casi; il problema era costituito dalla componente dei prezzi dei “servizi escluse le abitazioni”, stabilizzatasi sul 3,5% annuo. Siamo pertanto molto lontani dall’obiettivo del 2% per la componente maggiormente correlata alle retribuzioni e che esercita un effetto importante in un’economia sviluppata essenzialmente orientata ai servizi. D’altronde l’inflazione costantemente elevata nei servizi è un fenomeno generale riscontrabile anche in Europa. Inevitabile quindi che, in occasione dell’ultimo FOMC (comitato di politica monetaria) del 1º maggio, la Fed abbia ribadito la volontà di procrastinare qualsiasi decisione sul taglio dei principali tassi di interesse di riferimento. Alla luce della dinamicità dell’economia statunitense, con una crescita del prodotto interno lordo reale nel 1º trimestre pari all’1,6% su base annua e una domanda interna privata (escluse le variazioni delle scorte) ancora sostenuta al +3,1%, la Fed non ha motivi oggettivi per accelerare l’allentamento delle condizioni finanziarie, come già spiegato nelle nostre precedenti note in diverse occasioni. Sottolineiamo comunque il suo costante atteggiamento flemmatico di fronte alle tendenze di fondo. Permangono i fattori positivi, ovvero l’aumento della produttività e la moderazione salariale (tenuta sotto controllo dagli elevati livelli di immigrazione perfettamente assorbibili dall’economia statunitense), che permettono di contenere i costi di produzione unitari. Pur non nascondendo una certa delusione per i dati recenti (stime iniziali che verranno riviste in un secondo momento), l’aumento dei costi unitari di produzione su base annua è solo dell'1,8%, livello compatibile con lo scenario di un ritorno dell’inflazione al 2% nel medio termine. Soprattutto l’aumento dei tassi di interesse nominali e reali delle ultime settimane (il tasso reale del dollaro a 10 anni, al netto dell'inflazione prevista, si aggira intorno al 2,2%, rispetto alla forchetta dell’1,6-1,8% di gennaio) contribuisce a inasprire le condizioni finanziarie e agisce come un regolatore dell’attività economica, contribuendo a confermare lo scenario di un atterraggio morbido (soft landing) dell’economia.

Nell’eurozona, dove l’economia piuttosto modesta si sta rivelando meno negativa del previsto (ripresa degli indicatori anticipatori, stabilizzazione dei mercati immobiliari e del credito, buona performance dei paesi meridionali), la Banca centrale europea (BCE) sembra ancora legata all’idea di operare un primo taglio dei tassi di riferimento a giugno. Dal punto di vista macroeconomico, mentre la disinflazione consente di prevedere un leggero miglioramento dei consumi, la BCE riconosce che la crescita economica dell’eurozona è terribilmente priva di potenti fattori trainanti (bassi aumenti della produttività, ciclo di investimenti fiacco). Inoltre, le politiche fiscali non estrinsecano più gli stessi effetti sull’attività come nel recente passato. L’atteggiamento moderato della BCE e il probabile taglio dei tassi di interesse a breve termine sono ormai ampiamente scontati dai mercati finanziari (che entro fine anno si aspettano tre tagli di 25 punti base, ovvero dello 0,25%). La BCE si sta pertanto accingendo ad attuare una politica monetaria diversa da quella della Fed.

UNA STAGIONE DEGLI UTILI PIUTTOSTO RASSICURANTE
Iniziamo con il notare che il rialzo dei tassi di interesse nominali e reali in dollari, al netto dell’inflazione prevista, ha avuto un effetto limitato sui mercati azionari statunitensi e mondiali. Inoltre, gli indici non sono più guidati dai settori maggiormente sensibili all’aumento dei rendimenti obbligazionari a lungo termine. Da inizio anno i principali indici delle azioni tecnologiche statunitensi hanno registrato performance inferiori rispetto agli indici con una composizione settoriale maggiormente diversificata. Considerati gli elevatissimi livelli raggiunti a inizio anno dai principali titoli tecnologici, sostenuti dall’entusiasmo verso l’intelligenza artificiale (IA) generativa, si rendeva necessaria un’utile pausa nelle performance dei mercati azionari. Benché eccellenti, i risultati finanziari pubblicati per il primo trimestre si rivelano insufficienti per consentire agli indici tecnologici di continuare a crescere allo stesso ritmo dell’anno scorso. Molti settori stanno quindi beneficiando della rotazione settoriale operata dai gestori patrimoniali, in particolare a favore dei segmenti più ciclici dell’industria, delle materie prime, dell’energia e delle banche. A margine apprezziamo l’ottima performance dei mercati dell’eurozona, i cui guadagni da inizio anno non hanno nulla da invidiare a quelli degli indici statunitensi, se si esclude l’apprezzamento del dollaro sull’euro. Questo buon andamento si spiega in parte con la sovraponderazione dei mercati europei nei segmenti considerati “value” e ciclici. Le azioni europee sembrano aver riacquistato un certo interesse agli occhi degli investitori internazionali, alla ricerca di imprese del Vecchio Continente che beneficiano della crescita statunitense e delle prospettive di ripresa dell’economia mondiale. Gli attivi europei sono soprattutto più sottovalutati rispetto degli omologhi statunitensi, anche se i loro fondamentali finanziari non sono assolutamente in discussione.
La stagione degli utili del primo trimestre, già ben avviata negli Stati Uniti, ha finora confermato il nostro scenario di base, che prevede un atterraggio morbido seguito da una ripresa ciclica nel corso dell’anno. Si registra una stabilizzazione del consenso sugli utili, diventati più credibili (nel 2024 dovrebbero aumentare del 9% negli Stati Uniti e del 4,3% in Europa). Le azioni rimangono sostenute dallo slancio dei profitti e dalla prospettiva di un maggiore rimbalzo ciclico degli utili a partire da fine anno. Questa dinamica permette agli indici di contrastare l’aumento dei tassi di interesse a lungo termine (effetto attuariale sulle valutazioni teoriche). A seguito della pubblicazione degli utili del primo trimestre, i settori industriali più sensibili al ciclo economico indicano la forte probabilità di superamento del punto di minimo dell’attività manifatturiera (scorte al minimo, graduale ripresa degli ordini in vista). Sul versante dei titoli tecnologici, a volte gli investitori imparano sulla propria pelle che la diffusione su larga scala dell’IA generativa richiede un forte aumento della spesa in conto capitale da parte delle imprese che desiderano mantenere una posizione di leadership. A mo’ di esempio, dopo la deludente generazione del flusso di cassa libero di Alphabet lo scorso trimestre, ora è Meta ad essere punita dai mercati in seguito alla pubblicazione dei suoi più recenti utili trimestrali. Le performance borsistiche dei titoli tecnologici non sono esenti da volatilità. Si noteranno anche le prese di profitto nel segmento dei semiconduttori (produttori di componenti e apparecchiature), anche se il settore dovrebbe registrare una forte ripresa dell’attività il prossimo anno, e nei servizi IT (allarme sugli utili da parte del leader mondiale Accenture, seguito da diversi concorrenti), che stanno risentendo di una contrazione ciclica dell’attività di consulenza e della spesa discrezionale dei clienti. Queste dinamiche non mettono tuttavia in discussione le tendenze di fondo del settore, che sta traendo grandi benefici dalla digitalizzazione dell’economia e dalla necessità di sostenere le aziende nell’attuazione dell’IA generativa.

CONCLUSIONE
A questo punto possiamo solo ribadire le conclusioni pubblicate il mese scorso: i mercati azionari non stanno attraversando una fase speculativa. Le valutazioni sono elevate rispetto a quelle dei mercati obbligazionari - soprattutto negli Stati Uniti, dove il premio per il rischio è basso - senza essere eccessive (il rendimento dei flussi di cassa liberi a livello mondiale è di circa il 4% a fronte di una media del 4,5% negli ultimi vent’anni). Molti dei settori più sensibili al ciclo e il segmento delle piccole e medie imprese hanno valutazioni interessanti, iniziando ad attirare flussi di investimento nei mercati azionari. L’Europa rimane nel complesso relativamente poco costosa, così come alcune regioni emergenti. L’iniziale entusiasmo indiscriminato per l’IA generativa ha lasciato il posto a un approccio più misurato e soprattutto cauto da parte degli investitori. La buona notizia è che i rialzi del mercato azionario non sono più sostenuti esclusivamente dai leader tecnologici. Le prospettive degli utili sono complessivamente migliorate, grazie alla stabilizzazione e dall’inizio di una ripresa dei principali indicatori congiunturali. Il processo di disinflazione verso l’obiettivo del 2% non è stato messo in discussione, anche se le serie statistiche possono tradursi in una volatilità nel breve periodo. La svolta della BCE (primo taglio dei tassi di interesse di riferimento) è già attesa per giugno, mentre la Federal Reserve si mostra più cauta, senza mettere in discussione il suo scenario di base.

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